La lingua dei segni nell’ordinamento italiano: primi segnali per il riconoscimento – Valeria Piergigli e Valentina Carlino

Font: EliasaileLIS. Wikimedia commons. Llicència CC BY-SA 4.0

Nonostante la spinta proveniente dalle istituzioni internazionali ed europee verso il riconoscimento delle lingue dei segni negli ordinamenti interni, l’Italia si è attivata in questo senso solamente poco tempo fa, durante l’emergenza pandemica da Covid-19. Più nello specifico, ciò è avvenuto tramite il decreto-legge n. 41/2021, cd. decreto sostegni, convertito con modificazioni nella legge n. 69/2021. L’articolo 34-ter del decreto sostegni, approvato durante l’esame al Senato, prevede infatti norme a favore della promozione e del riconoscimento della lingua dei segni italiana (LIS) e della lingua dei segni italiana tattile (LIST). Lo scopo, come esplicitato al paragrafo 1, è quello di dare attuazione alle disposizioni costituzionali sui diritti inviolabili dell’uomo e sull’eguaglianza sostanziale (articoli 2 e 3), all’obiettivo di inserimento sociale e professionale e all’autonomia delle persone disabili di cui all’art. 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e a quanto disposto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, redatta nel dicembre 2006 e ratificata dall’Italia con legge n. 18 del 2009.

   Già dai richiami normativi operati dal legislatore italiano è evidente come l’unica prospettiva adottata sia quella della sordità come disabilità, tralasciando la dimensione dei diritti linguistici della comunità sorda e, dunque, evitando di considerare la LIS al pari di una lingua parlata di minoranza.

Già dai richiami normativi operati dal legislatore italiano è evidente come l’unica prospettiva adottata sia quella della sordità come disabilità, tralasciando la dimensione dei diritti linguistici della comunità sorda e, dunque, evitando di considerare la LIS al pari di una lingua parlata di minoranza. Eppure, vi sono due modi per approcciarsi, dal punto di vista del diritto, alle persone sorde, i quali dovrebbero essere tra loro complementari, e non alternativi. Uno è quello tradizionale e guarda alle persone sorde secondo la prospettiva medica o patologica: la sordità o la ipoacusia è una condizione fisica che implica un deficit uditivo, una disabilità. Pertanto, in uno stato sociale e democratico di diritto, sono opportune misure per ridurre il disagio, assicurando l’uguaglianza sostanziale. Il secondo è quello socioculturale ed esalta la prospettiva identitaria, l’appartenenza a una comunità, il diritto alla diversità. Dunque, attraverso la lingua dei segni, le persone sorde esprimerebbero la volontà di riconoscersi in una “minoranza linguistica” cui un ordinamento democratico e pluralista dovrebbe rivolgere la sua attenzione, in termini di tutela e promozione.

Secondo l’articolo 6 della Costituzione italiana è compito delle pubbliche autorità tutelare le minoranze linguistiche. Non si dice espressamente quali, né cosa debba intendersi con l’espressione “minoranze linguistiche”. Ma esiste, almeno dal secondo dopoguerra, una ricca legislazione in Italia diretta proprio a realizzare quell’obiettivo, nei territori dove le minoranze linguistiche sono stanziate stabilmente. Queste misure potrebbero essere estese alle comunità formate da persone sorde, che si riconoscano in una comunità differenziata, con tratti peculiari propri? Allo stato attuale, la risposta è negativa. L’unica legge generale a protezione di tutte le minoranze linguistiche in Italia si rivolge esclusivamente alle “minoranze storiche”, di antico insediamento entro ben delimitati ambiti geografici (legge n. 482/1999), mentre alcune proposte di legge, presentate negli ultimi anni, per il riconoscimento della lingua dei segni non hanno avuto seguito.

   In Europa, non sono molte le Costituzioni che riconoscono la lingua dei segni: si tratta di Finlandia, Austria, Ungheria, Portogallo e Slovenia. A livello legislativo, si devono ricordare le normative adottate, ad esempio, dalla Svezia fin dal 1981 e dalla Norvegia nel 1997.

Tuttavia, in prospettiva, nulla vieterebbe di includere tra le minoranze linguistiche dell’art. 6 Cost. le comunità formate da persone sorde, che condividono la lingua dei segni e si riconoscono in una comunità differenziata rispetto al resto della popolazione. È questo, del resto, l’approccio che sta emergendo a livello internazionale, anche per il fatto che nel mondo esisterebbero ben 150 lingue dei segni! In questo senso, ad esempio, l’Unione europea manifesta negli anni recenti una certa sensibilità verso la valorizzazione del multilinguismo, comprensivo del riconoscimento ufficiale delle lingue dei segni, nazionali e regionali. In Europa, non sono molte le Costituzioni che riconoscono la lingua dei segni: si tratta di Finlandia, Austria, Ungheria, Portogallo e Slovenia. A livello legislativo, si devono ricordare le normative adottate, ad esempio, dalla Svezia fin dal 1981 e dalla Norvegia nel 1997.

Ciò nonostante, l’Italia si è mostrata non ancora pronta a introdurre una legislazione specifica che tuteli le persone sorde non soltanto in quanto vulnerabili sul piano uditivo, ma anche in quanto membri di una comunità distinta e caratterizzata da una lingua propria che è la lingua dei segni, meritevole come le altre lingue di minoranza di interventi di protezione. La normativa introdotta nel 2021, lo si accennava, guarda alla sordità nell’unica prospettiva della disabilità, fornendo dunque una tutela soltanto parziale dei sordi.

E tuttavia, seppur insufficiente e incompleta, la normativa introdotta nel 2021 ha dei meriti che meritano di essere qui evidenziati; seppur breve e stringato, l’art. 34-ter rappresenta infatti un primo passo in avanti nel Paese, specialmente ove si consideri il vuoto normativo precedentemente esistente.

Il paragrafo 2 prevede che «La Repubblica riconosce le figure dell’interprete in LIS e dell’interprete in LIST quali professionisti specializzati nella traduzione e interpretazione rispettivamente della LIS e della LIST, nonché nel garantire l’interazione linguistico-comunicativa tra soggetti che non ne condividono la conoscenza, mediante la traduzione in modalità visivo-gestuale codificata delle espressioni utilizzate nella lingua verbale o in altre lingue dei segni e lingue dei segni tattili». Per la prima volta, l’essenziale lavoro degli interpreti LIS e LIST è stato riconosciuto dall’ordinamento italiano. Si tratta di una novità di grande importanza, che però da sola non basta a tutelare un accesso effettivo della comunità sorda alle molteplici attività in cui si articola la società odierna. È apprezzabile lo stanziamento di fondi ulteriori, per un totale di 4 milioni di euro, necessari all’attuazione di quanto disposto all’articolo 34-ter.

Da accogliere con favore è anche il decreto del 10 gennaio 2022 della Presidenza del Consiglio dei ministri – Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità, intitolato “Disposizioni in materia di professioni di interprete in lingua dei segni italiana e lingua dei segni italiana tattile”, di attuazione dell’articolo 34-ter. Per la prima volta, viene fornita una definizione delle professioni di interprete in lingua dei segni italiana e lingua dei segni italiana tattile (art. 1). Vengono dunque valorizzate la professionalità e la competenza di queste figure le quali, per svolgere il loro lavoro, devono rispettare una serie di requisiti e aderire a determinate regole di comportamento. Viene poi istituito un corso di laurea sperimentale ad orientamento professionale in interprete in LIS e LIST, potenzialmente cruciale per la formazione di figure specializzate e correttamente formate per svolgere un compito così essenziale (art. 2). A ciò si collega poi l’istituzione, a partire dal 1° gennaio 2024, di un “Elenco degli interpreti in lingua dei segni italiana”, al quale potranno iscriversi solo coloro che siano in possesso dei requisiti previsti dal medesimo decreto (art. 3).

L’Università di Roma La Sapienza da quest’anno offre un corso di laurea volto a formare interpreti professionisti di Lingua dei segni italiana e di Lingua dei segni italiana tattile. Il traguardo è di non poca importanza.

   È evidente l’impegno sempre crescente delle istituzioni italiane nell’utilizzo della LIS, a sua volta connesso a una generalizzata presa di coscienza sull’importanza di quest’ultima nel garantire l’accessibilità della comunità sorda all’insieme di attività e al novero di diritti e doveri previsti e tutelati nell’ordinamento.

È evidente l’impegno sempre crescente delle istituzioni italiane nell’utilizzo della LIS, a sua volta connesso a una generalizzata presa di coscienza sull’importanza di quest’ultima nel garantire l’accessibilità della comunità sorda all’insieme di attività e al novero di diritti e doveri previsti e tutelati nell’ordinamento. Già durante il periodo dell’emergenza pandemica, tutte le comunicazioni istituzionali tra governo e cittadini sono state accompagnate da un interprete in LIS, a conferma di una tendenza positiva invero già in corso, nel solco della quale è stato possibile riscontrare la presenza di un interprete in LIS in un numero sempre più esteso di eventi sociali, politici e culturali nel Paese.

Le novità introdotte recentemente dal legislatore italiano sono dunque da accogliere con favore, seppur con cautela. Da una parte, non può dimenticarsi la necessità che le istituzioni si impegnino in maniera seria per garantire l’attuazione delle normative, da sole insufficienti a garantire in maniera effettiva l’accessibilità. Dall’altra parte, i tempi sono forse ormai maturi per iniziare a pensare la questione anche in termini di tutela di una comunità che si caratterizza per una lingua e una cultura propria, non limitandosi alla sola prospettiva della vulnerabilità sul piano uditivo.

Valeria Piergigli
Professoressa Ordinaria di Diritto pubblico comparato, Università di Siena (Italia)

Valentina Carlino
Ricercatrice di Diritto pubblico comparato, Università di Siena (Italia)

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