Proteggere l’italiano per legge: autarchia culturale o democrazia linguistica? L’esperienza svizzera – Antonio Bianco

Font: Unsplash. Autoria: Tigney Injury Law Firm

Recentemente in Italia si è sviluppato un intenso dibattito in materia di politica linguistica scaturito dalla pubblicazione di due proposte di legge: il disegno di legge costituzionale 337, presentato nel novembre 2022 e finalizzato all’inserimento di un comma nella Costituzione che riconosca l’italiano come lingua ufficiale della Repubblica italiana, e la proposta di legge C-734 (Disposizioni per la tutela e la promozione della lingua italiana e istituzione del Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana) presentata nel dicembre 2022. Quest’ultima è stata oggetto di riflessione del seminario “Proteggere l’italiano per legge: autarchia culturale o democrazia linguistica? L’esperienza svizzera”, organizzato dal Gruppo di Studio sulle Politiche Linguistiche della Società di Linguistica Italiana, il 31 maggio 2023, e il cui contenuto è riassunto in questo articolo. Al seminario hanno partecipato Angela Ferrari (Università di Basilea), Sabine Christopher (OLSI, Osservatorio Linguistico della Svizzera Italiana) e Verio Pini (Presidente di Coscienza Svizzera).

  La motivazione sottesa alla proposta di legge è proprio l’eccessiva penetrazione dei forestierismi e, in modo specifico, “l’intrusione dei vocaboli inglesi” che, a detta dei proponenti, porterebbero all’estinzione della lingua italiana.

La proposta di legge C-734, in breve, si compone di 8 articoli che mirano a favorire una rivitalizzazione dell’italiano attraverso la sua promozione negli enti pubblici e privati (art. 4), nelle scuole e nelle università (art. 6) e mediante l’istituzione di un Comitato preposto alla tutela e alla valorizzazione dell’italiano (art. 7). A destare maggiore scalpore, anche a livello mediatico, è stato però l’articolo 8 in cui si paventano sanzioni economiche per coloro che violino le disposizioni previste dalla legge, per esempio utilizzando in maniera indiscriminata e non necessaria gli anglicismi. Infatti, la motivazione sottesa alla proposta di legge è proprio l’eccessiva penetrazione dei forestierismi e, in modo specifico, “l’intrusione dei vocaboli inglesi” che, a detta dei proponenti, porterebbero all’estinzione della lingua italiana (“i forestierismi ossessivi rischiano di portare a un collasso dell’uso della lingua italiana fino alla sua progressiva scomparsa”). Inoltre, l’egemonia dell’inglese (“anglomania”) è identificata anche come una potenziale minaccia per la vitalità delle lingue locali e come un ostacolo alla partecipazione alla vita pubblica per coloro che non hanno l’inglese nel proprio repertorio linguistico. Da qui la necessità di attuare le disposizioni previste dalla proposta di legge C-734.

Alla luce di queste premesse, il seminario in oggetto ha avuto l’obiettivo di rispondere a questo interrogativo: si tratta di un tentativo velleitario di arginare il cambiamento linguistico oppure di un atto legislativo necessario per rispondere alle sfide della globalizzazione e garantire l’accessibilità e la trasparenza nella comunicazione pubblica? Ed è proprio per rispondere a questa domanda che il seminario ha proposto un confronto con la politica linguistica Svizzera, anche alla luce del fatto che è lo stesso disegno di legge a menzionare la Federazione Svizzera come un modello virtuoso di tutela e valorizzazione della lingua italiana (“la lingua italiana, paradossalmente, è più tutelata in Svizzera che da noi”). Tale affermazione genera ulteriori interrogativi e perplessità: è davvero così paradossale che la lingua italiana sia maggiormente tutelata in Svizzera che in Italia? La politica linguistica svizzera può essere un valido modello di riferimento per lo scenario italiano? Gli interventi dei tre ospiti hanno fornito una risposta a queste domande sia tracciando una storia (costituzionale) della politica linguistica svizzera sia analizzando la situazione attuale a livello federale e cantonale.

Ciò che è emerso nettamente dalla discussione è una sostanziale differenza tra l’Italia e la Svizzera non solo a livello linguistico ma anche sul piano storico-culturale. Questa diversità sostanziale impone, dunque, massima cautela nel paragonare e confrontare le due realtà. Difatti la Svizzera – diversamente dall’Italia – fonda la sua identità nazionale proprio sulla eterogeneità storico-culturale della sua popolazione ed è, sul piano linguistico, una realtà multilingue. Il multilinguismo è, difatti, riconosciuto e garantito dalla Costituzione della Federazione (già nella prima Costituzione del 1848, fino alla recente costituzione del 1999). A questo riguardo, la Legge federale sulle lingue nazionali del 2007 ha sancito che vi sono quattro lingue nazionali (tedesco, francese, italiano e romancio) e tre ufficiali (tedesco, francese e italiano) e che i cittadini possano interagire con la pubblica amministrazione nella lingua ufficiale preferita1. Occorre anche precisare che l’italiano, sebbene lingua ufficiale, è nei fatti una lingua minoritaria (nel 2021 era la prima lingua solo per l’8,2% della popolazione) e che quindi i tentavi di salvaguardia e promozione dell’italiano sono tutt’altro che paradossali: mirano piuttosto a salvaguardare il multilinguismo sancito dalla Costituzione. Quindi, l’italiano non è promosso in Svizzera nell’ambito di una politica tesa a rafforzare il monolinguismo, che è invece ciò verso cui sembra puntare la legge C-734.

Concretamente, la tutela e il monitoraggio dell’italiano sono a livello federale garantiti da quattro presidi (Divisione italiana della Cancelleria federale, Forum per l’italiano in Svizzera, Delegazione federale per il plurilinguismo, Società per la radiotelevisione svizzera in lingua italiana), a cui la proposta di legge italiana sembra essersi ispirata per l’istituzione del Comitato citato all’art. 7. È doveroso però ricordare, come peraltro sottolineato dagli interventi, che il sostegno più significativo alla tutela dell’italiano è garantito dalla Federazione svizzera attraverso il finanziamento di numerosi progetti dedicati allo studio scientifico dell’italiano. Questo aspetto cruciale è solamente accennato nell’art. 7 della legge C-734 (“il comitato promuove la conoscenza delle strutture grammaticali e lessicali della lingua italiana”) e meriterebbe, dunque, maggiore approfondimento.

Considerando la politica linguistica cantonale, va detto che l’italiano, nei cantoni in cui non è la lingua maggioritaria, è tendenzialmente subordinato, per via del principio della territorialità, al francese e al tedesco, e che questo si verifica principalmente nelle scuole dell’obbligo. La situazione è diversa in ambito universitario e in particolare nel Canton Ticino (territorio a maggioranza italofona). Qui, infatti, l’amministrazione ha stabilito che i corsi universitari con un numero significativo di insegnamenti in lingua non italiana debbano essere autorizzati dal Consiglio di Stato prima di poter essere erogati. Questa attenzione al mondo universitario sembra essere un aspetto particolarmente sentito anche dal legislatore italiano che difatti, pur senza approfondire la questione, propone che l’offerta formativa universitaria debba essere erogata principalmente in lingua italiana (art. 4).

  La politica linguistica svizzera (è) una realtà alla quale ispirarsi ma con la quale risulta arduo competere e confrontarsi.

In conclusione, dunque, la politica linguistica Svizzera, benché sia senza dubbio un modello virtuoso, è indissolubilmente legata alla complessità del sistema politico svizzero – articolato in Governo federale vs. Cantoni – e dettata da specifiche motivazioni storico-culturali, come la difesa del multilinguismo costituzionale. Questi fattori rendono certamente la politica linguistica svizzera una realtà alla quale ispirarsi ma con la quale risulta arduo competere e confrontarsi.

Tornando alla situazione italiana e alla preoccupazione per l’invadenza degli anglicismi, la proposta di legge può essere migliorata dando maggiori responsabilità all’apparato pubblico di usare un linguaggio comprensibile a tutti. L’abuso di anglicismi crudi nella comunicazione pubblica rischia, infatti, di creare inedite barriere linguistiche alla maggioranza della popolazione2. In quest’ottica, lo Stato dovrebbe quindi primariamente impegnarsi ad aumentare i contesti d’uso dell’italiano e a incentivarne l’utilizzo – come insegna del resto anche l’esperienza svizzera – in ambito istituzionale e burocratico, promuovendo ad esempio l’uso di una terminologia tecnica in italiano che sia chiara per tutti i suoi parlanti.

Antonio Bianco
Università di Bergamo / Università di Pavia


1 Il romancio è lingua ufficiale solo nei rapporti con le persone di lingua romancia. Il testo della Legge è consultabile in questo link.

2 È interessante considerare a questo proposito, anche il caso delle leggi per la protezione delle lingue nazionali approvate recentemente in Svezia e Norvegia. Si consulti, a questo proposito, l’articolo (21/6/23) di Michele Gazzola pubblicato sul sito di divulgazione scientifica Linguisticamente.

 

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